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UE e salario minimo dignitoso: a che punto siamo?

17/04/2022 09:02

Euroeconomie

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UE e salario minimo dignitoso: a che punto siamo?

di Silvana Paruolo

Il dibattito sull’Europa sociale resta tuttora aperto, e sul suo futuro peseranno di certo gli imput che usciranno dalla Conferenza sul futuro dell’Europa, ma anche le inevitabili conseguenze della feroce
guerra in Ucraina, indotta dall’invasione russa del Paese. Intanto, tra le priorità dell’attuale Presidenza del Consiglio, francese, figurano: 1. la promozione di “posti di lavoro di qualità e qualificati con salari minimi decenti per tutti” 2. la creazione di nuovi diritti per i lavoratori sulle piattaforme digitali 3. la riduzione delle disuguaglianze salariali tra donne e uomini e l’introduzione di quote di donne nei Consigli di amministrazione delle aziende.
Limitandoci alla proposta di Direttiva sul salario minimo: a che punto siamo?
In 6 stati membri dell’UE (Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Italia e Svezia) la protezione del salario minimo è fornita esclusivamente dai contratti collettivi.
Gli altri paesi membri dell’Unione hanno un salario minimo legale. E si va dai 2.142 euro lordi in Lussemburgo ai 312 euro in Bulgaria.
Il 28 ottobre 2020, la Commissione europea - dopo un percorso di consultazioni iniziato nel gennaio 2020, che ha visto protagoniste le parti sociali a livello europeo - ha presentato una Proposta di direttiva relativa a salari minimi adeguati nell'Unione europea, che mira a creare quattro obblighi principali per gli Stati membri:
- la promozione della contrattazione collettiva, in materia di retribuzione salariale. Ai Paesi che stanno al di sopra del 70% di tasso di copertura dei contratti collettivi, la proposta di direttiva dice: dovreste in ogni caso mettere in campo misure che permettano di aumentare il più possibile la copertura dei contratti (ovviamente è difficile arrivare al 100% di copertura se non c’è un’estensione legale). Mentre ai Paesi al di sotto del 70%, dice: dovete fare un Piano di azione concordato con la parti sociali per creare un Quadro giuridico di supporto.
- il rispetto di una serie di obblighi procedurali, se e quando gli Stati membri fissano/aggiornano i salari minimi legali e ne valutano l'adeguatezza,
- l'adozione di misure per migliorare l'accesso effettivo alla tutela garantita dal salario minimo
- la raccolta dei dati e la comunicazione degli stessi alla Commissione, al fine di monitorare la copertura e l'adeguatezza della tutela garantita dal salario minimo.
La Commissione intende contribuire in particolare all'attuazione del principio 6 (Retribuzioni) e del principio 8 (Dialogo sociale e coinvolgimento dei lavoratori) del Pilastro europeo dei diritti sociali.
Il suo obiettivo è combattere gli effetti del lavoro povero, considerando che ci sono troppo sfruttamento. e troppo dumping sociale, e che la povertà lavorativa - e le diseguaglianze salariali - sono peggiorate con il covid.
La proposta di Direttiva non mira ad armonizzare il livello del salario minimo né ad istituire un meccanismo uniforme per determinarlo. E poiché non contiene misure che hanno un’incidenza diretta sul livello delle retribuzioni, rispetta pienamente i limiti imposti all’azione dell’Unione
dall’art. 153, par 5, TFUE.
La proposta elenca le figure lavorative cui prestare attenzione (i lavoratori domestici, a chiamata, intermittenti, a voucher, i falsi lavoratori autonomi, i lavoratori tramite piattaforma digitale, i tirocinanti e apprendisti a date condizioni). E colloca - soprattutto su pressione di imprenditori
tedeschi - i margini di convergenza (60% del salario mediano o il 50% del salario medio) nella Parte introduttiva della Direttiva. L’imposizione del 60% del salario mediano avrebbe comportato un aumento di salario anche in Germania: il livello del salario minimo stava attorno al 45% nei Paesi
dei Länder orientali e intorno al 55% nei Länder occidentali. Se lo si fosse incrementato portandolo al 60% del salario mediano in tutto il Paese, questo avrebbe significato - per il salario minimo nazionale - passare da 9 a 12 euro. Il che è poi comunque avvenuto su decisione del successivo
nuovo governo – semaforo – della Germania.
 

CES: criticità emerse nel corso della consultazione 

Dopo un decennio di tagli salariali, di decentramento della contrattazione collettiva e di uno smantellamento graduale (indotto dall’austerità) delle relazioni industriali, la Commissione ha capito che serve un’inversione di rotta.
La Confederazione europea dei sindacati ha accolto quindi con favore questa proposta di Direttiva. anche se – come commentato da Luca Visentini - “Lascia perplessi che per quei Paesi che stanno al di sopra del 70% di tasso di copertura dei contratti - come Italia e Paesi scandinavi - c’è la garanzia che non verrà imposto un salario minimo legale. Ma, nel contempo, non ci sono misure concrete, almeno non una misura obbligatoria, per l’estensione della copertura dei Contratti collettivi.

E non si chiarisce che la contrattazione collettiva riconosciuta può essere solo quella dei contratti sottoscritti dalle parti maggiormente rappresentative. Il che lascia la strada aperta a potenziali discriminazioni, Contratti pirata, sindacati gialli ecc.” Per la CES questa proposta è comunque un fatto positivo, perché si dice chiaramente che ci deve essere un coinvolgimento delle Parti sociali nella fissazione dei salari minimi, anche quando sono definiti per legge; si stabilisce che perdefinire i salari minimi ci debba essere un Paniere che faccia riferimento al costo della vita di un
certo Paese e settore; si dice che tutti i Paesi devono favorire l’estensione della copertura dei Contratti collettivi nazionali; si dice che per i Paesi che hanno una copertura inferiore al 70% c’è l’obbligo di stabilire Piani di azione nazionali di coinvolgimento delle parti sociali, per incrementare il tasso di copertura dei contratti collettivi; si dice che - nel caso di appalti pubblici - ci deve essere il rispetto dei salari definiti dalla contrattazione collettiva e, ovviamente, da quelli definiti dalla legge dove questa esiste.
Molti sindacati europei non insistono esclusivamente sui target di convergenza (60% della mediana dei salari e 50% della media) ma insistono sul fatto che i Paesi in cui i sistemi di salario minimo
legale convivono con la forte contrattazione collettiva nazionale (ad es. il Belgio) sono i Paesi dove i salari evolvono in maniera più adeguata e al tempo stesso coprono la maggioranza. E insistono sul fatto che bisogna creare Quadri giuridici nazionali che consentano adeguate Relazioni industriali di contrattazione collettiva. Quando sono passati dalla pianificazione comunista all’economia capitalista - applicando il modello americano (e non quello europeo) - i Paesi dell’Est hanno
completamente abolito la contrattazione collettiva nei loro Paesi. Nella maggior parte dell’Europa orientale, non c’è alcuna contrattazione collettiva. Da qui i loro salari bassi, dumping salariale e concorrenza sleale. Nella stessa Germania, disapplicando il Contratto collettivo nazionale e riconoscendo solo quello aziendale oltre il 50% delle imprese industriali tedesche è uscito dalla Confindustria tedesca. E per volontà dei Lander si è posto fine alla pratica tradizionale di estendere erga omnes per decreto i Contratti collettivi di settore. Oggi molti lavoratori tedeschi hanno solo contratti aziendali o individuali.
Tuttavia - per conservare la peculiarità del loro sistema per cui i contratti collettivi si applicano solo agli iscritti al sindacato e alle imprese che aderiscono alle associazioni degli imprenditori – i sindacati svedese e danesi sono tuttora ostili alla proposta di una direttiva sul salario minimo, e
all’erga omnes. Ai sindacati svedesi e danesi, Visentini ha fatto notare che, in Italia, ci sono le Commissioni di conciliazione che, anche in assenza di iscrizioni a sindacati e associazioni di imprenditori, indicano quale Contratto viene esteso in ogni caso (quindi erga omnes). E, in Finlandia, c’è l’erga omnes legale che ha tra l’altro incrementato non solo il tasso di copertura dei contratti ma anche il tasso di iscrizione al sindacato.
 

La reazione di BusinessEurope

Gli imprenditori hanno inizialmente ribadito netta contrarietà, ritenendo l’adozione di una Raccomandazione da parte del Consiglio l’unica via percorribile.
L’associazione datoriale ha definito la possibile adozione del provvedimento come una “formula del disastro”. E in una sua Position paper ha esortato il Parlamento europeo e il Consiglio EU a
respingere la proposta di direttiva della Commissione europea. “Le imprese europee - sottolineava un Comunicato di Business Europe durante le consultazioni - sostengono l’obiettivo di un’economia sociale di mercato che funzioni per le persone. La strada da percorrere è migliorare le prestazioni dei mercati del lavoro e dei sistemi sociali in tutti gli Stati membri, offrendo lo spazionecessario per soluzioni di dialogo sociale a livello dell’UE e nazionale”. Circa il salario minimo, Markus J. Beyrer, direttore generale di BusinessEurope, ha dichiarato: “La stragrande maggioranza degli Stati membri ha già un salario minimo, ma funzionano in modo abbastanza diverso. La fissazione dei salari è curata meglio dalle parti sociali a livello nazionale. BusinessEurope è fortemente contraria alla legislazione dell’UE sui salari minimi. È anche importante ricordare che i salari non sono lo strumento giusto per ridistribuire la ricchezza. Abbiamo altri strumenti per questo, come le tasse e le reti di sicurezza sociale. E se i salari devono preservare l’occupazione e la competitività, devono essere in linea con la produttività”. E, riferendosi alle Consultazioni sull’Europa sociale, ha precisato: “La Comunicazione della Commissione evidenzia giustamente la necessità di combinare l’equità con incrementi di produttività e stabilità macroeconomica. L’Europa darà alle persone solo se le aziende hanno le condizioni per creare buoni posti di lavoro e competere a livello globale. Il trucco sarà quello di adottare le giuste misure al giusto livello, tenendo presente che l’UE e gli Stati membri dell’UE hanno ruoli chiaramente definiti in materia di politica sociale.
La fissazione dei salari, ad esempio, è di competenza nazionale”.

 

E ora?

Il 25 novembre 2021, il Parlamento europeo ha approvato la sua posizione, facendo alcuni passi in avanti, rispetto alla proposta della Commissione. Per esempio, per garantire un reddito che permetta un livello di vita dignitoso per i lavoratori e le loro famiglie, i parlamentari europei propongono o un salario minimo legale (il livello salariale più basso consentito dalla legge) o la contrattazione collettiva fra i lavoratori e i loro datori di lavoro. Circa la contrattazione collettiva, il PE vuole rafforzare ed estendere la sua copertura obbligando i Paesi UE con meno dell’80% dei lavoratori coperti da questi accordi a prendere misure efficaci per promuoverla. I parlamentari hanno anche spostato i target di convergenza nell’articolato della Direttiva.
Invece, il 6 dicembre 2021, adottando la propria Posizione, il Consiglio ha fatto alcuni passi indietro. Per esempio? Rimette in discussione i target di convergenza. E chiarisce che la soglia di copertura della contrattazione collettiva pari al 70 % non deve essere considerata un obiettivo da
raggiungersi obbligatoriamente da parte dagli Stati Membri, dal momento in cui l’autonomia collettiva esclude la possibilità di obbligare le parti sociali a concludere contratti collettivi. Per il Consiglio, tale soglia è pertanto un indicatore che determina l’obbligo di prevedere un quadro di procedure abilitanti e meccanismi che favoriscano le condizioni per lo sviluppo della contrattazione collettiva.

 

A questo punto, resta da vedere il risultato finale, del negoziato in corso tra Parlamento europeo, Consiglio e Commissione. Intanto, nel Parlamento italiano, ci sono già più progetti di salario minimo depositati:

- l’atto S.310 (Laus e altri) che prevede un salario minimo orario intercategoriale non inferiore ai 9 euro; il C 682 (Pastorino) fa riferimento a un salario minimo orario pari al 50% del salario medio; S.658 (Catalfo e altri) fa riferimento a un salario minimo orario non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi delle organizzazioni più rappresentative e non inferiore a 9 euro; C 947 (Delrio e altri) affida a un decreto ministeriale annuale, su parere di esperti, la fissazione di un minimo orario legale; C 1542 (Rizzetto) affida la determinazione di un salario orario minimo legale a una Commissione di esperti, da aggiornare ogni 3 anni secondo parametri indicati, S 1132 (Nannicini e altri) rinvia ai contratti collettivi la fissazione del salario minimo, affidando a una Commissione paritetica tra le parti sociali l’individuazione di quelli di riferimento, nonché il minimo per settori non coperti; S 1259 (Laforgia) rinvia ai contratti collettivi delle
organizzazioni più rappresentative e crea una Commissione di esperti per eventuali controversie.

 

Silvana Paruolo per la rubrica Macro/Scenari di @euroeconomie


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