Pubblichiamo l'Intervista all'Avv. Marco Marazzi, presidente Easternational, esperto di mercati asiatici sulle relazioni tra Europa e Cina. A cura della Dott.ssa Patrizia Gallo senior analyst per Euroeconomie
Fears and expectations for the future of relations between Europe and China. There is the need to consolidate greater cooperation in strategic sectors such as technology and telecommunications in a cybersecurity context. From an expert on Asian markets, the interview proposes the state of the art of economic agreements in a complicated international context.
D L'Unione Europea era convinta fosse solo questione di tempo, da concedere al partner cinese, al fine di lasciare che le istanze democratiche o di capitalismo liberale avvicinassero le preferenze sociali cinesi a quelle occidentali. In realtà da almeno un lustro le istituzioni di Bruxelles si sono mosse per ricalibrare i legami con la Cina, promettendo di affrontare le crescenti minacce al commercio, alla crescita economica e alla sicurezza, poste dall'assertività globale di Pechino. Considerata in tutto il suo peso specifico la sua lunga esperienza nei rapporti economici tra Europa e Cina, è uno scenario in cui si ritrova?
Non penso che l’Unione Europea si aspettasse una trasformazione della Cina in una democrazia liberale. Non è una ipotesi realistica né lo è mai stata. Più che altro, si è passati dall’insistere sulla reciprocità nel trattamento (che era la filosofia dietro il CAI, il Comprehensive Agreement on Investment siglato ma mai ratificato) a temere gli investimenti cinesi tout court. E’ un approccio a mio avviso molto miope e di brevissimo periodo, perché in alcuni settori i capitali cinesi sarebbero importanti. Bisognerebbe invece reimpostare il discorso sulla reciprocità: ad ogni apertura esistente o ulteriore del mercato europeo deve corrispondere una esattamente speculare di quello cinese. E, badiamo bene, viceversa. Al momento, da legale, è più facile per me poter concludere in quale settore gli stranieri non possono investire in Cina, c’è una lista molto chiara, che in quali i cinesi non possono investire in Europa: questa decisione infatti è rimessa a valutazioni prettamente politiche che cambiano da paese a paese e da governo a governo.
D L'Unione europea, in particolare nell'ultima legislatura, ha orientato la sua programmazione economica al consolidamento del mercato interno, allineandosi al trend delle economie macroregionali. Le difficoltà sono tante, Lei ritiene che ne sia al riparo il programma della “Prosperità comune” predisposto dal governo cinese?
La Cina anche sta seguendo due linee contradditorie, sintomo forse di un dibattito all’interno del partito tra chi ha più a cuore i temi securitari e chi invece comprende che la Cina è diventata quello che è grazie soprattutto alla sua apertura al mondo. La prosperità comune è un tentativo di ridistribuire la ricchezza all’interno del paese in modo più equo e dovremmo esserne felici se veramente ci sta così a cuore il benessere anche dei cittadini cinesi. La vera contraddizione come dicevo è tra la continua dichiarata apertura agli investimenti dall’estero e il richiamo altrettanto continuo ad essere autosufficienti su alcune tecnologie. Se il messaggio è “vieni ad investire a casa mia in alta tecnologia così poi mi aiuti a diventare più forte ed autosufficiente° non dobbiamo meravigliarci che i governi europei diventino nervosi. In passato il messaggio era vieni ad investire così fai il 30% degli utili della tua azienda nel mio grande mercato. Suona meglio.
D Le affermazioni contenute nel documento strategico del marzo 2019, da parte del servizio diplomatico della Commissione europea, hanno avvicinato l'approccio di Bruxelles alla valutazione espressa dagli Stati Uniti nei confronti della Cina, considerata come il principale rivale strategico?
Direi si e no. Al contrario degli USA, i paesi europei in gran parte non hanno interessi militari e strategici consolidati nel Pacifico o in quello che, con un chiaro schiaffo in pieno viso a Pechino (mi fa specie che i politici italiani che usano questo termine non se ne accorgano) viene chiamato “Indo-Pacifico”. La rivalità strategica quindi si pone sempre più sul piano economico per la UE, non su quello militare o geostrategico.
D I funzionari dell'UE hanno affermato che l'atteggiamento dell'Europa nei confronti della Cina è cambiato a causa dell’incapacità cinese di aprire i mercati, del suo uso di sussidi per creare campioni aziendali nazionali, delle sue azioni nel Mar Cinese Meridionale e della sua spinta al dominio nei settori della tecnologia e delle telecomunicazioni. Anche Lei individua in queste cause il deterioramento delle relazioni sino-europee?
La prima accusa non è molto fondata: se si voleva apertura del mercato avremmo ratificato il CAI. Sui sussidi, questo è un tema reale, sul quale l’Unione Europea è intervenuta con le Foreign Subsidies Regulations. E’ vero che tanti settori dell’industria cinese hanno beneficiato di aiuti di Stato; è giusto quindi cercare di arrivare ad un riequilibrio sul punto anche se vedo che in Europa si parla sempre più di sussidiare i settori strategici. Quando saremo diventati come i cinesi a quel punto che senso avrebbe accusare loro di fare qualcosa che stiamo facendo anche noi? Sul Mar Cinese Meridionale, non penso che l’UE veramente abbia interessi strategici tali quanto quelli USA. Sono aree lontane da noi, dove esistono equilibri che andremmo solo a rompere, peggiorando la situazione.
D L’agenda politica dell’Unione europea nei confronti della Cina si orienta su cinque capitoli: la tutela dei diritti umani; la riforma delle istituzioni di governance globale, a iniziare dal WTO; la tutela e la governance dei mari; cambiamenti climatici, politica ambientale e utilizzo delle risorse; e, infine, la fitta agenda di tutela della cyber-sicurezza. E l’agenda della Cina di Xi verso Bruxelles? Lei che la conosce bene, può, in conclusione di questa intervista, renderla intellegibile ai lettori di Euroeconomie?
L’agenda cinese verso Brussels è, da sempre, aumentare la cooperazione bilaterale in tutti i settori economici. E sperare che un giorno l’UE acquisti autonomia strategica dagli USA.