L’ora di un nuovo rialzo dei tassi dei banchieri centrali di area anglosassone è arrivata. Martedi 4 maggio il presidente Jerome Powell ha lllustrato i piani della Federal Reserve, la banca centrale degli Stati Uniti, e ha annunciato un rialzo dei tassi di 50 punti base, per la prima volta dal 2000. Powell ha anticipato che saranno «appropriate» analoghe strette in futuro e «ulteriori aumenti di 50 punti base [...] dovrebbero essere sul tavolo nelle prossime due riunioni».
Una stretta che è destinata ad incidere anche sull’abbondante liquidità del bilancio della Fed. Insomma, è l’ora dei falchi anche se non sembrano aver potuto usare gli artigli, ritrovandosi l'argine prudenziale di Powell, tacciato di non aver voluto un aumento del costo del denaro nella forchetta di 0,75% – 1%, una mossa evidentemente dettata dalle necessità di evitare il rischio di indebolire ulteriormente l’economia domestica.
E' stata poi la volta della Bank of England, preceduta dalla Royal Bank of Australia. Un giorno dopo la Fed, la Banca d'Inghilterra ha portato i tassi d'interesse dallo 0,75% all'1%, il livello più alto da 13 anni con una decisione ormai però ampiamente attesa.
In questo quadro, ai piani alti della Banca centrale europea appare meno solido l'argine attendista di Philip Lane e David Panetta alla pressione di componenti del Consiglio direttivo orientati a convincere la Presidente Lagarde ad inasprire la politica monetaria nell'eurozona in risposta all'inflazione, attestatasi al 7,5% in aprile.
Il rischio di “perdere il controllo” del processo inflazionistico e delle aspettative agita i sonni dei primi ministri in tutta l'Unione. L’economia europea è molto più esposta di quella statunitense allo shock da offerta proveniente dalla invasione dell’Ucraina, essendo molto più dipendente dall’importazione di energia (gas e petrolio) dalla Russia.
Arrivano segnali in direzione di un adattamento pragmatico della Commissione europea, in sintonia con i ministri dell'Ecofin. La parola d'ordine è disarticolare l'incipiente stagflazione cercando di tenere in un percorso di crescita le economie dei Paesi membri, spinte in area negativa nel primo trimestre del 2022 dai primi effetti della guerra in Ucraina uniti a quelli gia in atto da mesi con rincari di forniture energetiche ed alimentari.
Nel suo intervento all'evento su Cosa attende le economie dell’area dell’euro? organizzato da Bruegel, primario think tank di Bruxelles, il capo economista della Bce Philip Lane non ha negato che l'incertezza regna sovrana :«C’è un altro anno di un’inflazione che si attende avere uno slancio al di sopra degli obiettivi. Dopo la dinamica dell’inflazione sarà di circa il 2%».Lane ha poi aggiunto lapidario «È improbabile che l’economia si stabilizzi rapidamente in un nuovo stato di equilibrio stazionario neutro» ed ha infine precisato: «non è così facile prevedere una normalizzazione. Ci sono considerevoli incertezze sull’inflazione. Ci sono incertezze sull’impatto economico della guerra in Ucraina».
Sono queste considerazioni del capo economista della Bce ed altre pronunciate da voci autorevoli tra Bruxelles e Francoforte, a dare conforto a coloro che candidano l'Unione a mettere in campo politiche economiche caparbiamente votate ad un futuro di espansione e di maggiore resilienza agli shock esogeni.
Antonio De Chiara @euroeconomie