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Il protagonismo europeo delle imprese cooperative: intervista al professor Menzani sul caso italiano

07/11/2022 14:21

Euroeconomie

Euroeconomies, Economic culture, Alessandro Mauriello, TITO MENZANI, imprese ccoperative, impresa cooperativa,

Il protagonismo europeo delle imprese cooperative: intervista al professor Menzani sul caso italiano

Di Alessandro Mauriello. Scelte di coordinamento politico-istituzionale sull'economia verde danno protagonismo europeo a stakeholder come le imprese cooperative

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Nel dibattito economico globale ed europeo, ritorna forte l' eco sul tema/ rapporto sviluppo sostenibile e impresa.

Con l'impatto degli obiettivi Agenda 2030 e degli accordi Cop 27, nonchè la guerra in Ucraina, la geopolitica europea viene ridisegnata, e quindi le scelte necessarie di coordinamento politico e istituzionale sull'economia verde. Scelte che danno protagonismo europeo agli stakeholder, come le imprese cooperative.

Discuteremo, di questo assetto valoriale di impresa mutualistica con il prof. Tito Menzani, docente di storia economica presso Università di Bologna, saggista e ricercatore importante sui temi della cooperazione e della sostenibilità.

Recentemente nelle librerie con 101 domande sull'impresa cooperativa, scritto a 4 mani con Michele Dorigatti, direttore della Fondazione Fondazione Guetti e direttore scientifico di Coopera, importante Festival della Cooperazione Trentina.

 

Alessandro Mauriello @euroeconomie

 

Intervista di Alessandro Mauriello a Tito Menzani

 

1. Gentile professore, perché da storico dell’economia ha deciso di dedicarsi allo studio della cooperazione e del mutualismo?
Come spesso succede in questi frangenti, guardandosi indietro, si ha l’impressione che ci sia una buona dose di casualità. Ma forse non è così. Correva l’anno 1998 ed ero uno studente universitario.
Frequentai il corso di storia economica, tenuto dal prof. Fiorenzo Landi. In quelle lezioni si dedicò abbastanza spazio alle cooperative, un tipo d’impresa che non conoscevo assolutamente, se non per sentito dire. Due anni dopo, avendo praticamente finito gli esami, andai da Landi a chiedere se potesse seguirmi nella tesi di laurea e se avesse in mente qualche tema che avrei potuto prendere in considerazione a tale scopo. Mi presentò tre o quattro opzioni. Una di queste era relativa a una ricerca
di storia economica sulle cooperative edili dell’area di Lugo. Infatti, una cooperativa di costruzioni, denominata Iter, aveva deciso di assegnare un premio a una tesi che avesse ricostruito le proprie origini. Il presidente di Iter era Giancarlo Ciani, oggi presidente di un’associazione romagnola che si chiama Circolo Cooperatori, al quale simpaticamente rinfaccio che se la mia vita professionale è stata largamente orientata verso la cooperazione la colpa è sua. Infatti, ingolosito da quel premio – mi pare
che fossero due milioni di lire – scelsi come argomento della tesi di laurea di trattare la storia delle cooperative lughesi. Fu l’inizio di un percorso di studio, ricerca e approfondimento, che è proseguito
nel dottorato di ricerca, nel post-dottorato e via dicendo. Ma fu soprattutto un percorso di crescente empatia verso questo il modello d’impresa della cooperativa. Dal breve racconto che ho fatto si capisce molto bene una cosa, ovvero che il caso c’entra fino a un certo punto. Viceversa, emerge
molto chiaramente che se il movimento cooperativo investe in cultura, i ritorni ci sono. E oggi questo torna ad essere assolutamente strategico.
 

2. Nei suoi lavori lei ripercorre la narrazione delle case del popolo. Ci può descrivere cosa fossero e qual è il portato di questa pagina importante della storia popolare del paese?
Sì, ho dedicato alle case del popolo tre libri: Una storia popolare. Le case del popolo del movimento operaio in provincia di Ravenna (1946-1996) (Ravenna, Giorgio Pozzi, 2014), scritto insieme con Andrea Baravelli; Nel cuore della comunità. Storia delle case del popolo in Romagna (Milano, Franco Angeli, 2020), scritto insieme con Federico Morgagni; e una curatela intitolata Idee in circolo. Rassegna di fonti documentarie e fotografiche sulle case del popolo in Romagna (Faenza, Homeless
book, 2021).

Più in generale, insieme con Ciani e con il Circolo Cooperatori, che ho citato prima, ho curato un programma di ricerca triennale sulle case del popolo romagnole, che ha prodotto un sito
internet (www.casedelpopolo.it), dei podcast, dei convegni, dei materiali didattici, dei webinar, due dei libri citati poc’anzi e altri contenuti culturali. Le case del popolo sono spazi entro i quali si è consumata una parte importante della vita associativa locale, fra istanze politiche, attività ricreative e pulsioni comunitarie. La loro storia inizia sul finire del XIX e arriva fino a oggi. Per tutto il Novecento hanno svolto a vario titolo una funzione aggregativa rispetto alle singole comunità in cui erano
imperniate. Si trattava di edifici costruiti dalle persone per le persone: dentro si parlava di politica, si giocava a carte, c’era un bar, si facevano feste e mangiate e altre iniziative culturali o ricreative.
L’idea di base era quella di dotare la comunità di uno spazio condiviso proprio. Tanto che in molti casi, dal punto vista giuridico, la casa del popolo era una cooperativa i cui soci erano gli avventori.
In altri casi, la casa del popolo era di proprietà di un partito o di una organizzazione ad esso legata, e gli avventori erano gli iscritti, i militanti e i simpatizzanti. In Emilia-Romagna le principali case del popolo avevano un orientamento politico di sinistra o repubblicano, e spesso dentro vi era la sede del Pci, del Psi o del Pri. Ma ve ne erano anche altre di orientamento cattolico o anarchico.

 

3. Lei ha scritto due saggi importanti con il direttore della Fondazione don Lorenzo Guetti, Michele Dorigatti, manager e co-fondatore della Sec, Scuola di economia civile. Ci può esplicare
i due lavori e perché questa contaminazione così feconda?

Con l’amico e collega Michele Dorigatti ho prima curato un libro intitolato Identità e valori dell’impresa cooperativa. Scritti e discorsi scelti di Ivano Barberini, presidente dell’International co-operative alliance (2001-2009) (Soveria Mannelli, Rubbettino, 2019) e poi scritto un altro libro: 101 domande sull’impresa cooperativa (Trento, Vita trentina, 2021). Entrambi hanno avuto una bella accoglienza. Pensi che sono stati ambedue anche tradotti in spagnolo. Ci ha contattato a tal proposito
una casa editrice argentina, InterCoop, che li sta distribuendo nel mercato latino-americano e più in generale ispanofono. Il libro su Ivano Barberini è il primo che approfondisce la figura di questo importante cooperatore, che tra il 2001 e il 2009 fu presidente dell’International co-operative alliance (Ica), ovvero la Federazione mondiale delle imprese cooperative. Si tratta dell’unico italiano ad aver ricoperto tale incarico in 127 anni di storia dell’Ica. Ma a parte questo dato statistico, Ivano Barberini fu un grande innovatore e uno strenuo difensore del valore degli investimenti culturali, intesi come ricerca, divulgazione e confronto sull’impresa cooperativa. La ricostruzione del suo profilo biografico
apre una finestra sulla dimensione internazionale della cooperazione, un contesto che rappresenta una frontiera per lo studio su questo genere di impresa. Le cooperative hanno attraversato tre secoli – il XIX, il XX e il XIX – e da singole, pionieristiche, isolate esperienze si è passati a un movimento globale con oltre un miliardo di soci. Ivano Barberini aveva compreso molto bene che il denominatore comune dell’esperienza cooperativa doveva sempre più diventare un terreno per lo scambio di buone pratiche. E così le soluzioni che a Mondragon si erano elaborate per risolvere il calo di partecipazione potevano essere utili anche alle grandi cooperative italiane. Le modalità che avevano portato alla nascita della cooperazione sociale nel nostro paese potevano fornire spunti ai cooperatori coreani per estendere le loro organizzazioni nel segmento del welfare. Le cooperative statunitensi e canadesi per la gestione delle utilities – acquedotti, reti elettriche, e simili – potevano rappresentare un modello anche per il Sudamerica. Gli esempi potrebbero continuare. Ma è sufficiente aggiungere che questo libro, con la sua appendice di scritti e discorsi di Ivano Barberini, vuole essere un incentivo in tal senso. Il secondo volume, invece, ha un taglio molto differente. Siamo partiti dalle domande che di frequente ci siamo sentiti porre da studenti, colleghi, giornalisti e altri interlocutori per realizzare un’agile guida sul tema dell’impresa cooperativa. Con 101 risposte ad altrettanti quesiti si fa chiarezza su un argomento che può apparire complicato, ma che parte da una constatazione molto semplice: le cooperative sono imprese che si sono date valori, regole e principi differenti da quelli delle società
che perseguono unicamente la massimizzazione del profitto. L’obiettivo del libro è quindi quello di fare luce su aspetti che spesso vengono valutati in modo sbagliato, vagliando diversi temi: l’identità, la storia, l’etica, il diritto, la finanza, la governance e le sfide. È pensato per le giovani generazioni, per i cooperatori curiosi e più in generale per tutti coloro che conoscono qualcosa del movimento cooperativo ma che vorrebbero conoscerlo più da vicino. Michele Dorigatti ed io condividiamo l’idea che le imprese cooperative abbiano un grande potenziale per rendere le nostre comunità e la nostra economia più giuste, più sostenibili e in definitiva migliori. Veniamo da due territori che hanno
espresso, in alvei culturali differenti, una forte cooperazione. Io sono di Bologna e lui è di Trento. Ma proprio la complementarità dei nostri approcci è un piccolo ma importante valore aggiunto dei progetti culturali che portiamo avanti insieme.


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