instagram
twitter
whatsapp

Newsletter

euroeconomie (10)
euroeconomie2

Rimani aggiornato su tutte le news di euroeconomie.it

[11/11/2024 23:10] Germany: Scholz moves forward without FDP and appoints Kukies as new Finance Minister Euroeconomie [06/11/2024 16:43] US: Trump returns President. New scenarios are possible in EU-US economic relations Euroeconomie [31/10/2024 16:39] Eurozone economy grows 0,4% in third quarter Euroeconomie [31/10/2024 08:14] The EU is imposing duties on electric vehicles from China after trade talks fail Euroeconomie [29/10/2024 16:53] IMF: Europe’s economic recovery remains “below full potential” and exposed to many uncertainties Euroeconomie [26/10/2024 02:33] EESC to host Enlargement High-Level Forum at the October plenary Euroeconomie [18/10/2024 07:07] ECB cuts key rates again Euroeconomie [18/10/2024 06:41] Why Nations Fail. The most famous book by Nobel Prize winners Acemoglu and Robinson Euroeconomie [18/10/2024 06:15] Acemoglu, Johnson and Robinson receive Nobel in Economics for Research on Global Inequality Euroeconomie [12/10/2024 00:04] The debate and initiatives in the EU on the taxation of great wealth Euroeconomie [11/10/2024 18:22] Eurogroup and Ecofin October sessions held in Luxembourg Euroeconomie [11/10/2024 00:35] Il sesto Festival dell'economia civile a Firenze Euroeconomie [08/10/2024 01:26] EU countries' Trade Defence Committee voted on additional duties on Chinese electric cars Euroeconomie [01/10/2024 21:43] Economia Critica e Mani Visibili. Due eventi sul sapere critico e le fratture del Mondo Euroeconomie [28/09/2024 19:13] ECB President Christine Lagarde spoke at the IMF's Annual Michel Camdessus Lecture Euroeconomie [22/09/2024 11:58] France : le gouvernement Barnier est en marche. Antoine Armand, nouveau ministre de l'Économie Euroeconomie [20/09/2024 09:04] EU budget 2025: it is better to avoid major cuts to headings and programmes Euroeconomie [19/09/2024 08:58] Federal Reserve cuts US interest rates for the first time in four years Euroeconomie [17/09/2024 15:31] Von der Leyen presented the new EU Commission Euroeconomie [13/09/2024 21:52] Ecofin and Eurogroup in September with less than a third of the ministers Euroeconomie [12/09/2024 20:27] ECB cuts interest rates by quarter point to 3.5% Euroeconomie [11/09/2024 00:42] Draghi: let's relaunch the EU with 800 billion euros of investments per year Euroeconomie [11/09/2024 00:21] Michel Barnier est le nouveau Premier ministre de France, en fonction depuis le 5 septembre Euroeconomie [09/09/2024 00:50] Eurozone, August inflation at 2.2 per cent Euroeconomie [28/08/2024 16:46] Starmer in Berlin and Paris to visit Scholz, Macron and major French and German entrepreneurs Euroeconomie [22/08/2024 07:36] From Jackson Hole to Frankfurt. Twenty days to the new ECB rate cut Euroeconomie [13/08/2024 14:08] La croissance française portée par les Jeux olympiques Euroeconomie [12/08/2024 20:10] How to improve poverty measurement in the EU Euroeconomie [04/08/2024 09:50] Eurostat : GDP up 0.3% in Q2 in euro area and EU Euroeconomie [20/07/2024 15:46] ECB leaves key interest rates unchanged Euroeconomie [20/07/2024 12:12] The two presidents Von der Leyen and Metsola re-elected at the top of the Eu institutions Euroeconomie [17/07/2024 21:17] Les résultats surprenants des élections françaises. Quel sera l’impact sur la gouvernance de l’économie Euroeconomie [13/07/2024 11:14] "Europa tra presente e futuro": il nuovo libro della Treccani, curato da Amato e Verola Euroeconomie [06/07/2024 10:12] The Labour Party wins the UK elections by a landslide. Starmer Prime Minister. Reeves new Chancellor of the Exchequer Euroeconomie [28/06/2024 09:37] EU summit nominates von der Leyen for second term as Commission President Euroeconomie
euroeconomie4

Stato, imprese e risorse pubbliche: il caso italiano. Intervista a Carlo Clericetti

14/11/2022 15:01

Euroeconomie

Euroeconomie, Macro/Scenari, Cultura economica, imprese, Alessandro Mauriello, novembre 2022, Carlo Clericetti, economista, giornalista Clericetti, stato, mercati,

Stato, imprese e risorse pubbliche: il caso italiano. Intervista a Carlo Clericetti

a cura di Alessandro Mauriello. Globalizzazione e finanziarizzazione hanno cambiato il capitalismo in tutto il mondo. Le speicificità del caso italiano.

Nei prossimi anni l’Unione Europea ha di fronte orizzonti di nuovo sviluppo con la transizione digitale ed ecologica ma anche profili critici di tutto riguardo inerenti il suo ruolo geopolitico e la sua coesione intergovernativa rispetto alla competizione globale e alle sue contraddizioni.

Partendo da ciò, discuteremo con Carlo Clericetti dei cosiddetti Fondamentali economici in prospettiva globale fino a quella italiana.

Giornalista economico tra i piu accreditati del nostro paese, co fondatore e poi responsabile di Affari e Finanza della Repubblica.  Oggi editorialista molto ascoltato, dalle pagine della Rivista Micromega e dal sito di interesse economico sindacale Eguaglianza e Libertà, fondato da Pierre Carniti Antonio Lettieri e altri giganti del sindacalismo italiano.

 

AlessandroMauriello@euroeconomie.it

 

Direttore Clericetti lei ha lavorato per molti anni in primarie testate giornalistiche, occupandosi di industria ed economia. Come è cambiato il capitalismo italiano negli ultimi anni dall'epoca delle partecipazioni statali?  

Naturalmente, con la globalizzazione e la finanziarizzazione, il capitalismo è cambiato in tutto il mondo. Ma se vogliamo limitarci al nostro paese, si potrebbe dire che paradossalmente è cambiato ben poco. Abbiamo, come allora, un numero di grandi aziende di livello internazionale che è molto piccolo rispetto ai paesi comparabili, e persino a paesi relativamente piccoli come l’Olanda e la Svizzera, e invece un numero elevatissimo di piccole e micro-imprese.

Tra le prime quelle totalmente private sono un’eccezione. Negli ultimi trent’anni abbiamo un solo esempio di azienda privata che sia cresciuta fino alle dimensioni di una grande multinazionale, la Luxottica, che peraltro ormai è italo-francese (dopo la fusione con Essilor) e forse, dopo l’uscita di scena del fondatore Leonardo De Vecchio, è destinata a diventare più francese che italiana. Sono invece uscite di scena o sono controllate da capitale estero le principali grandi aziende di allora: Fiat, Pirelli, Olivetti, Zanussi, Ilva, per fare qualche nome (sull’Ilva, come si sa, ora è dovuto intervenire di nuovo lo Stato). Nel settore privato resistono alcune multinazionali relativamente piccole, come Ferrero o Danieli, ma quelle di maggiore dimensione – e competitive a livello internazionale – sono ancora quelle a partecipazione statale: Enel, Eni, Fincantieri, Leonardo.

 

Ritiene valido il ritorno allo Stato imprenditore teorizzato dalla prof.ssa Mazzucato?

Se guardiamo alla nostra storia recente, come abbiamo appena detto le imprese a partecipazione pubblica hanno fatto quasi sempre molto meglio dei privati. Verrebbe da dire che in Italia gli imprenditori privati di successo scarseggiano, e a volte fanno veri e propri disastri. La Telecom pubblica era tra le prime al mondo nel settore, anche tecnologicamente all’avanguardia, anche perché faceva forti investimenti in ricerca e sviluppo, mentre la media italiana per questo tipo di spesa è sempre stata inferiore a quella degli altri paesi avanzati. All’epoca, la società di telecomunicazioni, da sola, valeva ben il 10% dell’intera spesa in ricerca e sviluppo del paese. La privatizzazione e le vicende che ne sono seguite l’hanno spolpata, caricata di debiti, sfruttata facendole pagare dividendi stratosferici per compensare chi l’aveva scalata. Se allora era all’avanguardia oggi è alla retroguardia del settore, e infatti la Borsa, prima delle recentissime fiammate dei prezzi su ipotesi di una prossima offerta pubblica di acquisto, la valutava circa 3 miliardi: una miseria. Telecom è il più fulgido esempio di privatizzazione fallita, ma anche il caso Ilva non è da meno. La famiglia Riva, che l’aveva avuta dallo Stato praticamente in regalo, faceva profitti, ma perché si guardava bene dall’investire per rendere l’impresa meno disastrosamente dannosa per la salute dei pugliesi e per l’ambiente. E il comportamento della multinazionale indiana a cui è stata poi venduta ha fatto sorgere più di un sospetto che le sue reali intenzioni non fossero di rilanciare l’azienda, ma di arrivare a una sua chiusura, eliminando così un concorrente e girando le commesse ad altri suoi stabilimenti in altri paesi.

Lo Stato imprenditore come lo propone Mariana Mazzucato non sarebbe un “ritorno”, perché è qualcosa di diverso dal sistema delle partecipazioni statali del secolo scorso. Il centro del suo ragionamento non è la proprietà pubblica (anche se non disdegna le partnership pubblico-privato). Sostiene che il compito dello Stato sia quello di indicare obiettivi (“missioni”), specie quelli così ambiziosi da scoraggiare l’iniziativa privata, selezionando le aziende che possano perseguirli, stimolandole, controllandole. Fa l’esempio della scommessa lanciata da Kennedy all’inizio degli anni ’60: far arrivare l’uomo sulla luna entro un decennio. Quella scommessa mobilitò risorse ingenti e fece fare salti tecnologici in molti campi, perché i prodotti studiati per la conquista dello spazio hanno trovato poi applicazione nei campi più disparati. Si chiama “serendipidità”: la ricerca mobilitata per un certo scopo ha spesso ricadute imprevedibili anche in settori che nulla hanno a che fare con quel problema specifico.

Lo Stato, dunque, deve proporre le “missioni”, aprire nuovi mercati, insomma avere un ruolo attivo, e non essere chiamato in causa solo quando si verificano i cosiddetti “fallimenti del mercato”. Per farlo, però, deve disporre di uomini di grande qualità, in grado di guidare e controllare questi processi, di tenere alla frusta le imprese private coinvolte, essendo sullo stesso piano, o magari un gradino più in su, rispetto alle conoscenze necessarie. E questo oggi è un punto critico, perché le teorie dello “Stato minimo” e che non deve intervenire nell’economia, che hanno prevalso a partire dagli anni ’80 del secolo scorso, hanno depauperato le risorse pubbliche, soprattutto in relazione alla qualità del cosiddetto “capitale umano”. Per perseguire quella strategia è necessaria una radicale inversione di quel modo di pensare.

Un cenno a parte merita la questione dei servizi pubblici, tanto la sanità che quelli basati sui monopoli naturali come molti di quelli dei servizi locali. Qui si va sempre più verso il sistema degli appalti, che però in linea di logica non può funzionare. Si dice che il potere pubblico dovrebbe limitarsi a controllare, ma si finge di ignorare che un controllo effettivo richiederebbe una duplicazione di funzioni il cui costo annullerebbe qualsia guadagno di maggiore efficienza da parte della gestione privata (peraltro, molto spesso, solo supposta).

 

In questi giorni è uscito un saggio importante del prof. Daniele Archibugi su Federico Caffè.  A suo avviso è ancora valida la sua lezione? 

E’ fondamentale soprattutto la sua impostazione: il benessere delle persone deve essere l’obiettivo delle scelte economiche, non si può pensare che derivi automaticamente dal rendere il più efficiente possibile l’economia. E’ un principio che purtroppo quasi tutte le sinistre del mondo hanno da tempo dimenticato, e quasi tutte, infatti versano in crisi più o meno profonde. E hanno dimenticato anche un altro aspetto, che Caffè ha testimoniato in tutta la sua vita: per essere davvero riformisti bisogna essere radicali, non aver paura di andare controcorrente, contro il pensiero dominante.

 

Cosa deve fare il sindacato per rilanciare la concertazione allo sviluppo (come sostiene il prof. Leonello Tronti)?

Il vento di destra che soffia ormai da un quarantennio ha mirato da subito a indebolire i sindacati: non a caso i primi atti di Thatcher e Reagan furono due pesantissimi scontri con i sindacati (dei minatori nel primo caso, dei controllori di volo nel secondo). La fine delle grandi concentrazioni operaie, il lavoro sempre più frammentato e precario, la concorrenza di due miliardi di lavoratori a bassissimo costo dei paesi meno sviluppati, le delocalizzazioni, sono tutti fattori – e si potrebbe proseguire – che hanno pesantemente intaccato il potere contrattuale dei lavoratori dei paesi di più antica industrializzazione che hanno visto dovunque dolorosi arretramenti rispetto alle conquiste faticosamente ottenute nel secolo scorso. Oggi il sindacato non ha praticamente più nulla da offrire, specie in Italia dove i salari sono fermi da trent’anni. Penso che per farsi ascoltare non resti ormai che una strada, quella di tornare alla protesta, anche dura. La strada è quella indicata dai lavoratori della Gkn. In questa situazione – e con questo governo – mi sembra illusorio sperare in qualcos’altro.

 


instagram
twitter
whatsapp

@2021-2023 EUROECONOMIE

SITO WEB REALIZZATO DA Q DIGITALY