EN - The outcome of the European elections in June confirms and does not deny the need to proceed towards federal economic integration of the European Union. What is needed is a surge of forces which in their electoral programs promised the deepening of European integration so as not to squander a heritage accumulated over the years. A confederal regression would not benefit European citizens, even those who have relied on forces that made them believe that less Europe could be the solution. The success of the Euro and the Next Generation EU or Sure confirms that when you chose more European integration you were not wrong.
IT- L'esito delle elezioni europee di giugno conferma e non smentisce la necessità di procedere verso l'integrazione economica federale dell'Unione europea. Serve uno slancio di forze che nei programmi elettorali hanno promesso l'approfondimento dell'integrazione europea per non disperdere un patrimonio accumulato negli anni. Una regressione confederale non gioverebbe ai cittadini europei, anche a coloro che si sono affidati a forze che hanno fatto credere loro che, meno Europa, possa essere la soluzione. Il successo dell'Euro e del Next Generation EU o di Sure conferma che quando si è scelta più integrazione europea non ci si è sbagliati.
Su molti media europei e non solo, l'esito delle elezioni europee viene commentato come una cattiva notizia per l'integrazione economica europea che dovrà venire. Anche dai mercati si notano segnali sparsi di sfiducia. Possibile che i gestori dei grandi capitali scommettano su una presunta incapacità del rinnovato parlamento di Strasburgo e dei vertici istituzionali Ue di dare vita ad una nuova stagione di stabilità dell'Unione intera? Di sicuro, nella decima legislatura non sarà semplice promuovere da Bruxelles una maggiore coesione federale e rifletterla in un crescente sviluppo economico. In questo quadro, viene da chiedersi su cosa fondare una narrazione meno pessimista e la risposta si trova nella videografica che rappresenta l'arco dei gruppi partitici eletti. Possiamo infatti notare che una massa critica di forze parlamentari tiene in una ridotta estrema, seppur corposa, i due gruppi a trazione sovranista i quali, se esclusi dal nuovo esecutivo europeo, non riusciranno ad imporre la svolta sognata ovvero un assetto neoconfederale dell'Unione. Ci sono concrete possibilità di affrontare la sfida neonazionalista al completamento dell'Unione economica. Più che dal Parlamento, le incognite potrebbero venire dagli equilibri interni al Consiglio europeo, dove la conferma e l'ingresso di leader poco inclini ad approfondire l'integrazione, potrebbe avere un impatto significativo sugli sviluppi che servono per fare dell'economia dell'Ue un'area forte, coesa e meno vulnerabile degli anni scorsi. Occorrerà neutralizzare illusorie velleità neoconfederali e saperlo fare senza stracciare assi e intese interstatuali che funzionano da decenni, facendo fare loro un salto di qualità in chiave federale. Servirà una guida solida e una Commissione in grado di dare all'esecutivo la capacità di proseguire nell'agenda delle transizioni e che convinca a rinsaldare le fila su dossier urgenti da affrontare, come la politica industriale, l'autonomia negli approvigionamenti ed energetica, l'unione bancaria. Servono risorse, servono miliardi di euro e nei due rapporti su competitività e crescita stilati da Letta e Draghi o se volete anche nel recente Manifesto di economisti e policy makers promosso da Marco Buti e Marcello Messori, si chiede di dotare di strumenti comuni di finanziamento l'Unione europea. Serve visione e coraggio, e una legislatura in cui cominciare ad accelerare per un piano comune che conduca ad un Tesoro europeo, alla stregua dei Treasury dei grandi attori economici globali. E fare debito comune con piani di investimento permanenti che permettano ai Paesi fondatori di consolidare il welfare sociale, in un riequilibrio solidale tra aree regionali degli stessi, e ai Paesi dei vari allargamenti di strutturarne uno all'altezza di disseminare consenso e associare alla maggiore dotazione di risorse europee disponibili un effettivo miglioramento del benessere percepito socialmente. Servono agevolanti finanziamenti alle capacità di autonomia tecnologica del vecchio Continente. E servono veloci aggiornamenti, imposti con potestà normativa e non lasciati al caso, in termini di tempi di lavoro, di decenza salariale, di welfare demografico e di riequilibrio nell'Ue dei tempi di vita. Serve una riforma dell'antitrust che non parcellizzi le già inadeguate concentrazioni industriali nell'Unione e incoraggi le dimensioni efficaci per avere grandi attori multinazionali europei nella complicatissima partita dei mercati globali. Non bisogna per forza percorrere antiquate ricette protezioniste, ma nemmeno fare dei prossimi anni un periodo storico in cui l'economia e le produzioni europee restino alla mercè degli incombenti, non di rado predatori, investitori asiatici o arabi. Per fare tutto questo, serve una Commissione europea in grado di coordinare le riforme ei consolidamenti suddetti e in grado di capitalizzare le ottime sistematizzazioni normative che spesso vengono dal Parlamento europeo e dalle sue Commissioni tecniche. Insomma una Grande Europa. Si può fare, preservando al Palazzo Berlaymont una maggioranza di forze che nel nuovo Parlamento hanno promesso, con roboanti programmi economici, di voler procedere sulla via della coesione federale.
Antonio De Chiara @euroeconomie.it