di Silvana Paruolo @euroeconomie
Le catene globali di fornitura (o del valore) sono divenute molto complesse a causa
della globalizzazione dei mercati, della frammentazione e delocalizzazione dei processi produttivi e della difficoltà ad ottenere informazioni affidabili su ciascuno. Sono imprese senza confini che sfruttano la territorialità limitata delle norme giuridiche - e fenomeni di competizione regolativa tra sistemi giuridici – per andare nei luoghi più attrattivi e più convenienti, a discapito dei diritti dei lavoratori e della tutela dell’ambiente. Possono avere una configurazione che si declina in un’impresa madre che controlla i nodi della catena sulla base di vincoli societari, ma si può anche trattare di una impresa leader della catena che controlla i nodi sulla base di vincoli
negoziali/contrattuali (appalto, franchising, subfornitura) e quindi il rapporto tra committente e
fornitore, appaltatore e subappaltatore.
I. Rispetto a venti anni fa, lo scenario regolativo delle catene di fornitura è ora più sviluppato, ma sicuramente non concluso. L’attenzione “giuridica” nei loro confronti è tornata alla ribalta, in
particolare, dopo il disastro del Rana Plaza, dove un edificio è crollato con migliaia di lavoratori che lavoravano per noti marchi di abbigliamento, dove almeno 1.134 lavoratori sono morti e molti altri sono rimasti gravemente feriti. A livello internazionale, per un lungo periodo, ci sono stati solo la Dichiarazione tripartita sulle multinazionali della Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) del 1977 e Le Linee guida della Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) del 1976: due importanti documenti - poi emendati a più riprese - anche per tener conto del nuovo approccio dei Principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani (2011) preceduti dal Framework “Protect, Respect, Remedy”/ Proteggere rispettare rimediare (2008) del prof. John Ruggie. Successivamente sono arrivati il Business human rights, il Global compact, e altre iniziative dell’Organizzazione internazionale per la normazione (ISO) con cui si cerca di costituire norme private per il mondo del lavoro, il che mina la certezza dei diritti dei lavoratori e le tutele connesse alle norme. Importanti - di certo - anche le 8 Convenzioni considerate fondamentali dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Agenzia ONU tripartita, cioè, con rappresentanti di Stati imprese e lavoratori), e cioé:
• Convenzione 29 sul lavoro forzato;
• Convenzione 87 sulla libertà di associazione sindacale;
• Convenzione 98 sul diritto di organizzazione e contrattazione collettiva;
• Convenzione 100 sulla parità di retribuzione tra uomo e donna;
• Convenzione 105 sull’abolizione del lavoro forzato;
• Convenzione 111 sulle discriminazioni;
• Convenzione 138 sull’età minima;
• Convenzione 182 sulle peggiori forme di lavoro minorile
Molti hanno cercato di trovare soluzioni, fino ad arrivare anche a iniziative nazionali, quali ad
esempio la Legge francese sul diritto di vigilanza. Ma, ciò detto, per un approfondimento degli
strumenti internazionali in essere e in fieri - come per una visione di esempi di strumenti negoziati - quali gli Accordi quadro globali / internazionali / transnazionali di ultima generazione (prodotti dal dialogo sociale transnazionale, e cioè, dal confronto tra multinazionali e Federazioni sindacali) che realizzano Sistemi di controllo condiviso - rinvio ai Capitoli Terzo, e in particolare Quarto, del mio ultimo libro, L’Unione europea Origini Presente Prospettive future, Edizioni SIMPLE 2021. In quanto segue mi soffermerò, quindi, solo sulla recente proposta di Direttiva dell’Unione europea in materia di due diligence (dovere di diligenza) ora al vaglio del Parlamento europeo e del Consiglio.
Da notare che questa proposta è presentata dopo che l’impatto del Covid ha imposto anche una riflessione sulla vulnerabilità delle catene globali di fornitura, e sui presunti benefici della
globalizzazione.
II. Decenni di Codici di condotta, Piani di vigilanza e Rapporti unilaterali hanno dimostrato che
l’approccio volontaristico è in sé insufficiente a garantire un’effettiva protezione dei diritti sociali, e di un lavoro per tutti dignitoso. A livello europeo e internazionale, si è gradualmente affermata la consapevolezza che - dalle grandi multinazionali - il decentramento produttivo su scala globale è stato utilizzato per decentrare responsabilità, e per risparmiare, sia sui costi del lavoro (mettendo a repentaglio i diritti fondamentali dei lavoratori, dalla salute e sicurezza alla giusta retribuzione, ecc.), sia per la tutela dell’ambiente e dei diritti collettivi. Di conseguenza, in sede ONU è stata diffusa una controversa “bozza zero” di strumento internazionale giuridicamente vincolante, che si rivolge agli Stati (piuttosto che alle imprese). Da parte sua, la Commissione europea a guida Von der Leyen, il 23 febbraio 2022, ha poi adottato la sua proposta di Direttiva sul dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità ora al vaglio del Parlamento europeo e del Consiglio.
La proposta della Commissione europea prevede l'obbligo per le imprese di individuare i rischi e, se necessario, evitare, far cessare o attenuare gli effetti negativi delle loro attività sui diritti umani, come il lavoro minorile e lo sfruttamento dei lavoratori, e sull'ambiente, ad esempio l'inquinamento e la perdita di biodiversità. La proposta - coerente con le Linee guida e i Quadri esistenti nell’ambito OCSE e ONU - si integra con altre proposte UE in fase di pubblicazione tra cui la Corporate Sustainability Reporting Durective che modificherà la direttiva sul reporting non finanziario (2014/95/EU).
La proposta segue la Risoluzione del 10 marzo 2021 del Parlamento Europeo (con cui gli
eurodeputati hanno proposto una loro bozza di testo) e ampie Consultazioni pubbliche. Fornendo certezza giuridica e parità di condizioni, si ripropone di promuovere, lungo le catene di fornitura mondiali, un comportamento sostenibile e responsabile. Tale scopo è sostenuto anche dalla previsione di maggiori responsabilità in capo alle imprese interessate. Infatti, è facoltà degli Stati membri stabilire sanzioni in caso di inosservanza e per le vittime di agire per il risarcimento dei danni subiti.
Ora, la Proposta dovrà superare l’esame del Parlamento europeo e del Consiglio.
- L'ambito soggettivo e di applicazione - La proposta si applica alle operazioni delle società stesse, alle loro controllate e alle loro catene del valore (rapporti commerciali diretti e indiretti consolidati). E riguarda:
A. imprese dell'Unione Europea:
- grandi società, con oltre 500 dipendenti e un fatturato netto a livello mondiale che supera i
150 milioni di euro: l’Unione stima che a questo gruppo appartengano circa 9400 aziende
- altre società che operano in determinati settori a impatto elevato (es: settore minerario,
tessile, pelli e calzature; agricoltura, sivilcoltura, pesca, fabbricazione di alimenti e
commercio all’ingrosso di materie prime agricole, animali vivi, legno, cibo e bevande) che -
pur non raggiungendo le soglie del gruppo 1 - hanno più di 250 dipendenti e un fatturato
netto a livello mondiale pari o superiore a 40 milioni di euro a livello mondiale. Per queste
società, l’applicazione delle nuove regole dovrebbe iniziare 2 anni dopo rispetto a quelle del
Gruppo 1. L’UE stima che a questo gruppo appartengano circa 3400 aziende.
B. imprese extra-europee, cioè di paesi terzi, attive nell'UE con soglie di fatturato generato nell'Unione Europea allineate al Gruppo 1 e 2. L’UE stima che a questo gruppo appartengano circa 2.600 aziende.
Le piccole e medie imprese (PMI) non rientrano direttamente nel campo di applicazione della
proposta.
- Gli obblighi - Per adempiere all’obbligo di dovere di vigilanza (due diligence) le aziende devono:
- integrare la due Diligence nelle proprie politiche aziendali
- identificare gli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente attuali o potenziali
- prevenire o mitigare i potenziali impatti
- porre fine o ridurre al minimo gli impatti reali attuali
- stabilire e mantenere una procedura di reclamo/denuncia
- monitorare l’efficacia della politica e delle misure di Due Diligence
- dar conto pubblicamente della due diligence (compatibilmente agli obblighi in materia
di Dichiarazione Non Finanziaria)
Le autorità amministrative nazionali designate dagli Stati membri saranno responsabili del
controllo di queste nuove norme e potranno imporre sanzioni in caso di inosservanza.
Nella proposta, gli obblighi di due diligence si sostanziano, in particolare, attraverso il riferimento a documenti, da aggiornare annualmente, che contengano (art. 5): (a) una descrizione dell'approccio della società, inclusi i riferimenti all'orizzonte di lungo periodo, alle tematiche di due diligence; (b) un Codice di condotta, che descriva regole e principi da seguire da parte dei dipendenti della società e le società controllate; (c) una descrizione dei processi di due diligence e del sistema di verifica rispetto al Codice di condotta, che è da estendere anche alle relazioni commerciali.
Circa le misure di prevenzione dei rischi la Commissione fornisce un catalogo di azioni da
implementare, ove necessario: per esempio cercare partner commerciali idonei, fare investimenti adeguati su produzione e infrastrutture, ecc. (art. 7 della proposta).
Lo stesso la Commissione fa per le azioni necessarie a porre condotte a risolvere l'impatto
negativo (art. 8 della proposta), disponendo l'obbligo per le imprese della creazione di
una Procedura di reclamo interna (art. 9 della proposta) a disposizione delle persone offese,
sindacati e lavoratori, organizzazioni a tutela della catena del valore. La Commissione specificherà tali punti anche con l'adozione di Clausole contrattuali modello (art. 12 della Proposta) e Linee guida (art. 13 della proposta).
Inoltre, le società del Gruppo 1 devono disporre di un Piano per garantire che la loro strategia
aziendale sia compatibile con l’obiettivo di contenimento del riscaldamento globale a 1,5 °C in
linea con l’Accordo di Parigi. Ma non prevede conseguenze specifiche per la violazione di questo obbligo.
Infine, la proposta della Commissione prevede:
a) l'espressa enunciazione di un obbligo di diligenza degli amministratori volto alla considerazione
dei fattori di sostenibilità nell'assunzione delle decisioni, nel medio e nel lungo periodo (art. 25
della proposta);
b) l'espressa enunciazione della responsabilità civile degli amministratori per gli inadempimenti
forieri di danni, con clausola di salvezza relativa al rispetto di determinati obblighi di compliance, in relazione all'adeguata gestione delle relazioni contrattuali (art. 22 della proposta);
c) l'istituzione di un network di autorità di controllo, per stimolare e uniformare i controlli sugli
obblighi di due diligence (art. 21 della proposta).
- Questa proposta è un primo passo nella giusta direzione – È un buon punto di partenza per affrontare problemi complessi quali lo sfruttamento, il lavoro minorile, il lavoro forzato, la
deforestazione, la violenza di genere ecc. Ed è positiva per le aziende che prendono sul serio la sostenibilità. Ma non mancano spazi di miglioramento. Per esempio, la proposta riguarda solo le aziende molto grandi, escludendone il 99%. La proposta lascia ampi margini di aggirabilità.
Riguarda solo le “relazioni commerciali consolidate”, il che significa che chi evita relazioni a lungo termine potrebbe continuare a ignorare i diritti umani e dell’ambiente. E, se da un lato introduce la responsabilità civile per la mancata osservanza dei suoi obblighi, dall’altro non ha rimedi per una serie di ostacoli nell’accesso alla giustizia da parte delle vittime per un processo equo (termini di denuncia troppo brevi, costo elevato delle spese legali, un onere della prova sproporzionato rispetto alla forza delle controparti ecc.). Inoltre - sottolineano i sindacati – manca il coinvolgimento concreto dei lavoratori e dei sindacati nella definizione e monitoraggio di strategie di due diligence aziendali sostenibili, volte a prevenire o cessare gli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente.
Per la Confederazione europea dei sindacati (CES/ETUC) il progetto di direttiva è tutt'altro che un punto di svolta. Una sua analisi (cfr. in Italian Network 6.5.2022) tra l’altro evidenzia che:
- la Direttiva inserisce nel diritto dell'UE pratiche commerciali volontarie esistenti - Codici di condotta, roadmap e Piani di azione correttivi - le cui scarse prestazioni in materia di
Responsabilità sociale dell’imprese sono già note, lasciando che rimangono unilateralmente
adottate dall’azienda;
- la bozza di Direttiva include i diritti sociali e del lavoro ma il ruolo dei sindacati si limita
alla presentazione di denunce interne in merito a violazioni, piuttosto che al pieno
coinvolgimento nella progettazione, monitoraggio e applicazione della due diligence,
nonostante il Parlamento europeo abbia esplicitamente e con ampia maggioranza adottato
una proposta con un forte e proattivo coinvolgimento dei sindacati e altre parti interessate
- sebbene preveda nuove proposte sanzionatorie positive - come la sospensione temporanea
delle attività commerciali e la sospensione temporanea degli aiuti di Stati e dell’utilizzo di
fondi pubblici Ue – la Direttiva si limita alla responsabilità civile, e a blandi obblighi degli
amministratori
“La proposta del Parlamento europeo – commenta Isabelle Schomann. Segretaria confederale
della CES – riecheggia molto meglio e con visione ciò che l’Unione europea dovrebbe fornire
per ritenere le imprese e i fornitori responsabili degli impatti negativi delle loro operazioni sulle
persone e sul pianeta. La Commissione europea sembra aver optato per il minimo comune
denominatore. Include alcuni nuovi strumenti e procedure. Riconosce che i diritti umani
includono i diritti sociali e del lavoro, ma non li presenta così come sono ancorati nei Trattati.
Spetta ora al Parlamento europeo migliorare questo progetto di direttiva tardivo e deludente. La
CES lavorerà con gli eurodeputati per lottare per una direttiva che faccia davvero la differenza e ritenga davvero la differenza. Ora dobbiamo vedere i dettagli del Piano che seguirà”.
Cosa farebbe la differenza? In Due diligence e subappalti, Diritti Umani (22.04.2022) la CES
evidenzia quanto segue. Farebbe la differenza “una governance aziendale sostenibile, in cui i
contratti collettivi negoziati con i sindacati modellano e monitorano i Piani e la strategia di due
diligence sui diritti umani delle imprese e in cui i rappresentanti dei lavoratori sono informati e
consultati al fine di raggiungere accordi per una migliore tutela dei lavoratori; Obblighi di due
diligence sui diritti umani per tutte le imprese, comprese le catene di approvvigionamento, al
fine di fermare il dumping sociale e lo shopping di regime; tali obblighi dovrebbero creare
condizioni di parità, certezza del diritto e prevedibilità per tutti sulla base di regole di
concorrenza leale invece della frammentazione proposta a causa dell'eccezione delle piccole e medie imprese. Misure chiare e concrete a sostegno delle vittime di violazioni dei diritti umani, come l'inversione dell'onere della prova a favore delle vittime, l'agevolazione del loro accesso alla giustizia e una riparazione significativa. Sanzioni dissuasive ed efficaci per le imprese che violano i diritti umani. La CES chiede di intraprendere azioni concrete: vietare prodotti e servizi che violano i diritti dei lavoratori e dei sindacati; limitare l'accesso al mercato interno alle imprese che violano i diritti umani in Europa e nel mondo”.