I governi dei Paesi europei alle prese con politiche economiche espansive hanno trovato nella Banca centrale europea e nella Commissione due solidi alleati. La Bce si è dimostrata in grado di proteggere gli Stati membri da rischi sul debito emesso così come l'esecutivo di Bruxelles, forte dell’intesa franco-tedesca, ha messo in campo quel NextGenrationEu a ragione considerato nell'Unione un provvidenziale new deal scacciacrisi.
Le misure previste hanno prodotto due principali effetti. Il primo è un diffuso recupero del percorso di crescita 'economica dopo i due semestri iper-recessivi causati dalla pandemia da Covid-19. Il secondo è una inevitabile risalita dell'inflazione, giunta ad ottobre nell’eurozona al 4,1% su base annua .
In questo quadro, ha sostanzialmente taciuto, per almeno tre semestri, il nutrito fronte di politici, economisti e banchieri centrali che avevano sostenuto, negli anni dieci del nuovo secolo, la necessità di non derogare alla disciplina di bilancio pubblico. tenendo gli indicatori economici primari dell'Unione negli argini parametrici rigidi del Trattato di Maastricht. Una scuola di pensiero, prevalente nella Germania guidata da Angela Merkel e che ha ispirato nelle politiche pubbliche diversi governi europei, in particolare nordici, manifestamente a disagio nell’estate del 2020 con il ricorso a debito comune europeo per il varo del NextGenerationEu della Commissione.
Inflazione e prolungamento delle politiche accomodanti della Bce, hanno ridato vigore alle posizioni del Presidente della Bundesbank Weidmann. Dimissionario da ottobre, Weidmann è stato notoriamente custode della tradizione di rigorismo economico espressa da decenni in Europa dalla Banca centrale tedesca. In questi mesi che precedono la successione alla Bundesbank, prevista per gennaio 2022, Weidmann ha criticato a più riprese la politica monetaria europea ritenendola da troppo tempo accomodante, fondata com’è su tassi a livello zero e un massiccio piano di acquisti di debito pubblico, il Pepp, dei Paesi membri. Weidmann si è inoltre dichiarato scettico sulle previsioni della Bce di decrescita dell’inflazione nel 2022, ritenendo invece che l’aumento dei prezzi nell’eurozona potrebbe impiegare più tempo per ridursi.
Della strategia adottata, sia ufficialmente che agli eventi ai quali ha partecipato ha parlato direttamente la presidente della Bce Lagarde, non ultimo, al Congresso europeo sulle banche di Francoforte, con un intervento teso a ribadire che "la Bce non deve affrettarsi a lanciare una stretta prematura" di politica monetaria aggiungendo che "E' molto improbabile che le condizioni per alzare i tassi vengano soddisfatte l'anno prossimo". Una replica indiretta, secondo molti commenti sui media, ai mugugni dell'ortodossia monetarista in Germania, ormai prossima ad essere governata da un leader socialdemocratico a seguito delle elezioni politiche in cui la Cdu-Csu senza la Merkel ha perso sia il primato che la possibilità di guidare la nuova fase dopo il ritiro della cancelliera.
Sarà in occasione delle decisioni istituzionali da assumere riguardo le modalità e tempi del ripristino del Patto di stabilità e crescita europeo, sospeso da mesi, che il fronte rigorista e quello espansivo dovranno trovare la quadra, considerando che il rimbalzo di crescita del secondo semestre del 2021 e del primo del 2022, potrebbe rientrare nel semestre successivo dando vita ad una fase di assestamento che non risparmierà problemi di coordinamento nei prossimi Consigli europei.
Antonio De Chiara per le rubriche Macro/Scenari e Cultura Economica di @euroeconomie